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 APRE A MONTEPAONE LIDO LA BOTTEGA D'ARTE DI ANTONINO MARIA GARUFI

 

       Apre a Montepaone lido, con una presenza di autorità e appassionati, lo studio d’arte di Antonino Maria Garufi, uno stile il suo che riempie il cuore e illumina gli occhi, lo stile di Caravaggio è forte e presente nelle tele che il maestro Garufi espone nella sua bottega, riferimenti ai santi, al passato, ma  anche nature morte e paesaggi, con una tecnica antica e collaudata, questo è il maestro Antonino Maria Garufi. I suoi quadri incantano, la sua sensibilità è forte come è forte la sua voglia di trasmettere il bello, una tecnica avanzata che sembra far muovere gli oggetti presenti nelle sue opere, il gioco del chiaro scuro è forte, e questo svolge naturalmente una funzione importantissima, fare affiorare dalle tenebre la realtà. Le sue opere sono state esposte in mostre d’arte internazionali, basti pensare  a quelle di New York, Ginevra, Parigi, Norimberga, Roma, Montreaux, solo per citarne qualcuna, ma basta osservare le sue opere e notare i particolari, i volti, le mani, le vene, i capelli, tutto concorre a far sì che si possa chiamare arte con la A maiuscola, tanti sono i particolari, assolutamente perfetti e fruibili da tutti, i colori poi nel caso del dipinto della poltrona rossa o in quello dei tappeti, in cui sembra di udire il dolce fruscio delle stoffe, sono esaltati dal colpo di luce e giochi di chiaroscuro, in questo grande è il maestro Garufi. Il percorso pittorico di Garufi è composto da sessanta anni di arte, con unanimi consensi, nato a Messina ma cittadino del mondo come lui ama definirsi, Garufi restituisce alla pittura il suo linguaggio ab origine, il gusto appare chiaro e temporale, segno questo del ritrovamento del gusto del bello.


Nella terra dell’Arte:

Antonino Maria Garufi

di Ettore Marino

 

            In quella strana terra chiamata Arte si può giungere per strade diverse, ma non v’è scorciatoia che ad essa conduca. Come nessun uomo può costringersi ad essere altro da ciò che è, nessun artista può vivere di un mondo diverso da quello che è concresciuto insieme a lui. Post factum, alle azioni dell’uomo in genere e a quelle dell’artista in ispecie (le si chiama, com’è giusto, opere), il gruppo dà il nome di scelte. Spontaneo e insieme doveroso è che chi le ha compiute se ne assuma il peso.

 

            La scelta pittorica che Antonino Maria Garufi operò e protrasse nei decenni della sua assai fattiva carriera fu quella figurativa. Critici tutt’altro che vacanzieri l’hanno definita realistica ovvero naturalistica; intendersi però in fretta e appieno su concetti così complessi e ambigui quali realtà o natura è cosa ardua. “Figura” è voce che precisa in modo più gratamente diretto ciò che qui si vuol dire, e ad essa ci atterremo. Ignoro se la scelta del Garufi celasse un intento polemico verso il non figurativo. Figurativo e non figurativo sono due delle strade per le quali poter giungere, in pittura, in quella strana terra chiamata Arte. Garufi vi giunse su un maestoso tiro a sei, e spregiando ogni vile scorciatoia. Ciò solo conta.

 

            Antonino Maria Garufi era nato a Messina nel 1931. Dagli anni Cinquanta visse e operò in Calabria. Viaggiò molto, direttamente imbevendosi della visione dei Maestri del passato. Facile nominare Rembrandt, Poussin, Caravaggio, Guido Reni, lo stuolo dei Fiamminghi. Facile e giusto, però. Fu detto (da Piero Maroncelli) che occorre Dio e un poeta per fare un poeta nuovo. Lo stesso può ripetersi per ogni artista che si esprima con altri strumenti. Tenteremo più in là di tradurre in parole la specificità pittorica garufiana. Ricordiamo qui intanto che il Garufi ha incontrato il caloroso e sapiente consenso di sapientissimi critici, ha esposto in tutta Italia, ha raccolto allori a Ginevra, a Parigi, a Regensburg… Si è spento nel 2020.

 

            Rara nei quadri suoi (ma quando c’è è possente) la figura umana. Ieratici vecchioni: santi, o alle soglie della santità. Un suo calco del San Giovanni Battista del Caravaggio si distingue dall’archetipo per una più drammatica bianchezza dell’incarnato, per un più palpitante vermiglio del drappeggio, per un assai più intenso bruno dello sfondo, sicché il santo può sembrare seduto, può sembrare che poggi le braccia su un ripiano, ma è seduto sul bruno, sull’ombra, su nulla. Si sostiene da sé, per elegante tensione dei tendini, e il rosso del drappeggio, il bianco delle carni, il giallo della canna che regge con la destra e lo smorzato oro d’una fronda negletta in terra risaltano dal buio e sul buio, che non li minaccia. Nature morte e incantesimi boschivi, quanto si vede in altre tele. Senza fiato mi lascia una maschera bianca, ravvolta da un velo perlaceo e da un turbante in raso d’un bianco che tende appena al grigio e al bruno, mentre un azzurro pudicissimo timidamente impregna sia il velo sia il turbante. Gli occhi, la bocca e le narici della maschera mostrano il nero prepotente che sta dietro. Non c’è volto alcuno, né c’è corpo, dietro: c’è solo il nero. Non a caso la tela si chiama Finto volto. Stupefacente, sempre su sfondo nero, un sobrio lacerto di tavolo, sereno e rasserenante. Vi giace un vaso, bianco all’interno, nero d’orlo, ocra nel corpo, e qui batte la luce. Il vaso blocca sopra il tavolo un tappeto policromo, che deborda in avanti, in pieghe casuali, e si raccoglie al suolo, dove un altro vaso, assai meno panciuto ma del medesimo caldo colore del primo, giace riverso sul tappeto stesso, che lo ospita, che esso ribadisce al suolo. La tela ha il titolo di Vasi su tappeto tribale, e tutto vi è avvolto e vi palpita d’uno stupore senza tempo.

              Volume, luce, tenebra; dettagli tanti e mai gratuiti; sospensione, calore, affettuosità: tale è il mondo pittorico e poetico di Antonino Maria

Garufi. La tecnica è ignara di pecche – e null’altro ho da dire.



Hanno voluto esprimere la loro testimonianza al contatto delle opere di Antonino Maria Garufi testate autorevoli, critici d’arte e giornalisti: 

 

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